06 gennaio 2015
IFEL-Fondazione ANCI - Italia Oggi
Per regioni ed enti locali, il 2016 sarà l'anno
dell'addio al patto di Stabilità interno, che verrà sostituito dal pareggio di
bilancio.
La modifica - una sorta di rivoluzione copernicana dopo
oltre 20 anni di applicazione del patto - ha resistito anche al secondo e
decisivo passaggio parlamentare del disegno di legge di Stabilità, essendo
stata confermata dalla Camera con modesti ritocchi. Fra questi, spiccano lo
svincolo dal benestare di Bruxelles dei 500 milioni di sconti previsti a favore
delle spese per l'edilizia scolastica (nell'ambito dei quali è stato inoltre
individuato un mini plafond da 20 milioni per interventi di bonifica ambientale,
conseguenti ad attività minerarie) e l'introduzione di una corsia preferenziale
nell'assegnazione delle deroghe da parte delle regioni a favore dei comuni con
popolazione fi no a 1.000 abitanti e di quelli istituiti per fusione a partire
dal 2011. In tal modo, peraltro, Montecitorio ha confermato che anche i mini
enti e quelli che si sono accorpati saranno fin da subito pienamente
assoggettati alle nuove regole. Per le amministrazioni interessate, si tratta
di una perdita secca rispetto a quanto in precedenza previsto: finora, infatti,
il patto è stato sempre applicato solo al di sopra del migliaio di residenti,
mentre a chi ha intrapreso la strada della fusione era stata garantita
un'esenzione quadriennale dai vincoli di finanza pubblica. Per addolcire la
pillola, si è agito su due versanti: da un lato, è stato raddoppiato dal 20 al
40 per cento (fino a un massimale di 2 milioni) il contributo straordinario che
per dieci anni viene erogato a chi si fonde e che viene commisurato ai
trasferimenti erariali attribuiti nel 2010. Per garantire la copertura finanziaria,
è stata anche confermata e resa permanente la destinazione a tal fi ne di una
quota annua del fondo di solidarietà comunale pari a 30 milioni. Dall'altro
lato, è stata inserita una norma ad hoc per precisare che gli enti che nel 2015
non sono assoggettati al patto continueranno a fare riferimento al più
favorevole regime di limite alla spesa di personale previsti dal comma 562
della legge 296/2006, anziché al più restrittivo comma 557 relativo agli enti
soggetti al patto. Per effetto di tale precisazione, le uscite per stipendi
dovranno essere contenute entro il tetto della spesa 2008 (anziché della spesa
media 2011-2013) ma soprattutto il personale cessato potrà essere integralmente
sostituito secondo la regola del turnover per teste al 100%. A beneficiarne,
oltre ai comuni nati per fusione e a quelli sotto i 1000 abitanti, anche le
unioni, che incassano anche la conferma dei 30 milioni annui di dote aggiuntiva
sempre a valere sul fondo di solidarietà. Al riguardo, non è però arrivata
l'attesa sospensione degli obblighi di gestione associata, che potrebbe però
trovare posto nel decreto «mille proroghe» in attesa dell'annunciata revisione
organica della disciplina che regola la materia. Qualche buona notizia anche
per gli enti di area vasta, che recuperano 95 milioni sul 2016 e 70 per gli
anni prossimi fi no al 2020, più altri 100 per far fronte al pagamento degli
stipendi del personale in attesa che venga completata la ricollocazione degli
esuberi. Ma la situazione rimane critica, tanto che sono stati confermati anche
per il 2016 tutti i meccanismi emergenziali già previsti per il 2015, a partire
dal bilancio annuale. Infine, le regioni vedono salire di 600 milioni (1,3 a 1,9
miliardi) il contributo in conto riduzione del debito e da sette a dieci anni
il periodo massimo per riassorbire i disavanzi pregressi, senza dimenticare i
900 milioni per tenere in piedi il bilancio della Sicilia e i 50 a favore della
Valle d'Aosta.
La
commissione Bilancio della Camera ha deliberato il raddoppio degli incentivi
economici a favore dei processi di fusione tra comuni: sono ora il 40 per cento
dei trasferimenti erariali ricevuti da ciascun ente nel 2010. Vincolare le
erogazioni ai risultati per far decollare le aggregazioni.
Un lungo
percorso di riforma
L’11
dicembre la commissione Bilancio della Camera ha deliberato il raddoppio degli
incentivi economici a favore dei processi di fusione tra comuni, che passano
così dal 20 al 40 per cento dei trasferimenti erariali ricevuti da ciascun ente
nel 2010.
La notizia arriva del tutto in controtendenza rispetto a quanto accaduto finora sul tema delle gestioni associate obbligatorie per i piccoli comuni, che ha visto uno slittamento continuo del termine ultimo per l’adeguamento, ora posticipato al 1° gennaio 2016.
Se ripercorriamo i punti salienti dell’associazionismo comunale in Italia, si possono ricordare quattro fasi:
La notizia arriva del tutto in controtendenza rispetto a quanto accaduto finora sul tema delle gestioni associate obbligatorie per i piccoli comuni, che ha visto uno slittamento continuo del termine ultimo per l’adeguamento, ora posticipato al 1° gennaio 2016.
Se ripercorriamo i punti salienti dell’associazionismo comunale in Italia, si possono ricordare quattro fasi:
– anni
Settanta: nascono i governi regionali e vengono elaborate (in qualche caso) le
mappature delle associazioni intercomunali e delle zone socio-sanitarie;
– anni
Novanta: la legge 142/90 introduce le fattispecie su cui oggi si continua a
dibattere: unioni e fusioni;
– anni
Duemila: la legge 265/1999 riforma gli strumenti associativi che hanno avuto
poco successo (cade l’obbligatorietà della trasformazione delle unioni in
fusioni, si introduce un corposo sistema di finanziamenti, si ribadisce il
potere delle regioni nell’individuazione di bacini ottimali); la riforma
costituzionale del 2001 e la legge sul federalismo fiscale (legge 42/2009)
spingono sul decentramento;
– dal 2008:
sono gli anni della crisi, in cui lo Stato recupera un ruolo centrale in
materia di assetti locali per contenere la spesa pubblica.
Pochi
risultati
Un bilancio
dei risultati ottenuti è illustrato nel grafico 1. La legge 142/90 non ha dato
quelli sperati, perché la prospettiva della fusione obbligatoria è stata
osteggiata dagli enti locali. Diverso effetto sembra aver sortito la normativa
che proprio quel vincolo ha rimosso (legge 265/99). Tuttavia, occorre tener
presente che le soluzioni, lasciate allo spontaneismo dal basso, hanno
inseguito di volta in volta i finanziamenti disponibili (nazionali e
regionali), senza dar luogo a soluzioni stabili. Con la legislazione della
crisi c’è stato un nuovo impulso alle unioni di comuni, ma il fenomeno è in
parte il risultato della mera trasformazione delle preesistenti comunità
montane, cui sono stati tagliati i finanziamenti.
A fine 2014, il bilancio è dunque molto magro: le unioni interessano il 24 per cento dei comuni e il 14 per cento della popolazione; quelle effettivamente operative, che cioè hanno presentato un bilancio, sono ancora meno (nel 2012, 230 a fronte delle 367 esistenti sulla carta) e comunque il loro peso sulla spesa complessiva degli enti locali resta inferiore all’1 per cento.
A fine 2014, il bilancio è dunque molto magro: le unioni interessano il 24 per cento dei comuni e il 14 per cento della popolazione; quelle effettivamente operative, che cioè hanno presentato un bilancio, sono ancora meno (nel 2012, 230 a fronte delle 367 esistenti sulla carta) e comunque il loro peso sulla spesa complessiva degli enti locali resta inferiore all’1 per cento.
TABELLA
Dal 2014 è
poi emerso per la prima volta il fenomeno delle fusioni. Come ha confermato
anche recentemente la Corte dei conti (audizione parlamentare del 1° dicembre
2015), questa soluzione è da considerarsi la migliore rispetto alle altre forme
di associazionismo, perché produce risparmi di spesa certi. I fattori che
l’hanno finalmente avviata sono da individuarsi negli incentivi erogati, uniti
all’esenzione dal rispetto del patto di stabilità e, soprattutto, dall’obbligo
di gestione associata delle funzioni fondamentali. Gli incentivi sono di tutto
rilievo per piccole realtà: un comune nato da una fusione di dimensione molto
piccola, come Fabbriche di Vergemoli (Lucca) (800 abitanti dopo la fusione),
riceve un contributo annuo pari 110mila euro, mentre un comune medio come
Figline e Incisa (Firenze) (23mila abitanti) circa 1 milione di euro per anno.
Il contributo è previsto per i dieci anni successivi alla fusione.
Se il fenomeno è senz’altro positivo, occorre tuttavia considerare che i numeri restano ancora molto piccoli (26 casi, per un totale di 62 comuni coinvolti nel 2014) e i risultati in termini dimensionali modesti (solo 7 casi su 26 hanno dato origine a enti con più di 10mila abitanti e solo 2 su 26 a enti con più di 20mila). Il rischio è che, se lasciato al più assoluto spontaneismo, il percorso si dimostri assai dispendioso in termini di tempo e risorse e che finisca per produrre risultati modesti.
Se il fenomeno è senz’altro positivo, occorre tuttavia considerare che i numeri restano ancora molto piccoli (26 casi, per un totale di 62 comuni coinvolti nel 2014) e i risultati in termini dimensionali modesti (solo 7 casi su 26 hanno dato origine a enti con più di 10mila abitanti e solo 2 su 26 a enti con più di 20mila). Il rischio è che, se lasciato al più assoluto spontaneismo, il percorso si dimostri assai dispendioso in termini di tempo e risorse e che finisca per produrre risultati modesti.
Aumentare
gli incentivi?
Il
potenziamento degli incentivi economici dedicati alla soluzione migliore (la
fusione) può senz’altro rappresentare uno strumento efficace, che deve però
essere bilanciato da una valutazione stringente dei risultati.
Ad esempio, gli incentivi potrebbero essere erogati solo per soluzioni di massa critica sufficiente. Per valutare questo secondo aspetto si può far ricorso al raggiungimento di una soglia demografica significativa (almeno 10mila abitanti), oppure alla corrispondenza ad alcuni ambiti ottimali ormai consolidati, come i sistemi locali del lavoro (che rispecchiano il comportamento reale degli individui) o gli ambiti di programmazione dei servizi socio-sanitari o educativi (ambiti che corrispondono più precisamente al concetto di servizi di prossimità).
Occorre, infine, prevedere un potere di sostituzione nel caso di inadempienza, giustificabile con motivi di interesse pubblico prevalente: l’iper-frammentazione, infatti, assorbendo risorse per il funzionamento delle strutture, toglie servizi ai cittadini.
Ad esempio, gli incentivi potrebbero essere erogati solo per soluzioni di massa critica sufficiente. Per valutare questo secondo aspetto si può far ricorso al raggiungimento di una soglia demografica significativa (almeno 10mila abitanti), oppure alla corrispondenza ad alcuni ambiti ottimali ormai consolidati, come i sistemi locali del lavoro (che rispecchiano il comportamento reale degli individui) o gli ambiti di programmazione dei servizi socio-sanitari o educativi (ambiti che corrispondono più precisamente al concetto di servizi di prossimità).
Occorre, infine, prevedere un potere di sostituzione nel caso di inadempienza, giustificabile con motivi di interesse pubblico prevalente: l’iper-frammentazione, infatti, assorbendo risorse per il funzionamento delle strutture, toglie servizi ai cittadini.
SABRINA IOMMI
Ricercatrice presso IRPET (Istituto Regionale
Programmazione Economica della Toscana) Si occupa di analisi territoriale e
socio-demografica dello sviluppo, economia urbana, modelli istituzionali di
governo.
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