Quando
la pace si stava profilando all’orizzonte, rieccola allontanarsi. In Siria si
stava riaccendendo una speranza di compromesso. Nello Yemen si stava delineando
un cessate il fuoco. I due conflitti più sanguinosi del Medio Oriente sembravano
avviati verso una pacificazione, ma'l'Arabia Saudita e l’Iran, nel giro di un
weekend, sono arrivati a rompere tutte le loro relazioni e nel fragore delle
loro invettive l’orrore e il sangue hanno ripreso il sopravvento, in una
regione che sembra condannata a veder riaccendersi eternamente le sue guerre.
La
domanda é: questa nuova crisi pub trascinare iraniani e sauditi in una guerra
aperta che infiammerebbe tutta la regione oppure no? Non esiste interrogativo
più importante , ma la risposta e’ incertissima, perché i
drammi
del Levante sono legati tanto alla storia antica quanto a quella più vicina,
tanto agli albori dell’espansione araba quanto alla fine della guerra fredda.
Facciamo
un viaggio nel tempo: siamo nell’anno 642 dopo Cristo e gli arabi, diventati musulmani
e unificati dalla nuova fede, hanno appena sconfitto la Persia nella battaglia di
Nihavand. Un immenso impero e stato sconfitto, distrutto, convertito con la
forza da tribu incolte che fino a quel momento aveva disprezzato, ma nella loro
prostrazione quei persiani che oggi vengono chiamati riescono a inventarsi ben presto un modo per
preservare la propria identità in un mondo islamico fondamentalmente arabo.
"
Abbracciano lo sciismo, la religione minoritaria dell’Islam, ponendosi come
‘alternativa all'Arabia che diventerà saudita, e che é sunnita come la
stragrande maggioranza dei musulmani. Sconfitta, la Persia non ha mai rinunciato
a prendersi la rivincita, e l'antagonismo fra queste due potenze regionali si
arricchisce di un conflitto religioso e poi politico quando la Rivoluzione
Iraniana rovescia lo Scia, nel 1979. "- Quel giorno, le monarchie del
Golfo sentono il pericolo avvicinarsi, perché una repubblica, per quanto
teocratica, ha
trionfato
alle loro porte, una repubblica che denuncia la loro corruzione, organizza la sedizione
nei loro regni e fa leva sulle comunità sciite per proiettarsi sulle terre
arabe, in Libano, in Siria e in Iraq" (appena l'intervento americano consegna
le leve del comando alla maggioranza sciita che Saddam Hussein e la minoranza sunnita
avevano tenuto ai margini del potere ).
Da
quel momento le monarchie petrolifere, in testa a tutte l'Arabia Saudita, non
sognano altro che di schiacciare l'Iran, ed é a questo punto che la storia
vicina viene ad aggravare il tutto, privando il Media
Oriente
dei suoi signori stranieri. Con L’implosione dell’Unione Sovietica, quelle
dittature arabe che erano legate a Mosca perdono il loro protettore, mentre gli
Stati Uniti cominciano a pensare che, era che la guerra fredda é finita, non hanno
più interesse a continuare a sostenere i potentati sui quali si erano
appoggiati nella regione. .
Al
contrario, l'America decide che ha tutto da guadagnare a tendere la mane ai
nuovi ceti medi urbani del mondo arabo, quella gioventù istruita che aspira
alla democrazia e condivide già la culture occidentale
attraverso
Internet. Per una volta, l'America aveva visto giusto, perché sono proprio questi
giovani delle città a guidare le primavere arabe del 2011, che rovesciano le
dittature in Tunisia, in Egitto e nello Yemen, che scuotono il regime della
popolazione siriana e sunnita. L'Arabia Saudita perde presa in Egitto",
dove Hosni Mubarak, il suo alleato, viene cacciato dal potere.
Né
regionali, né russe né americane, non c’é più nessuna superpotenza che possa incanalare
alcunché, e dal Libano allo Yemen, passando per l'Lraq e la Siria, sullo sfondo
di un arretramento delle rivoluzioni democratiche', iraniani e sauditi, arabi e
persiani si contendono la prima piazza nella regione per interposti seguaci e
correligionari.
Inizialmente
rivoluzionario, il caos del 2011 assume rapidamente le caratteristiche identitarie
e religiose, perché sunniti e sciiti si ritrovano ovunque contrapposti, in
Paesi dove gli uni sono maggioranza e gli altri minoranza o viceversa. Le
frontiere ereditate dal colonialismo vanno di fatto in pezzi ed e questo che da
la possibilità ai più esaltati fra gli islamisti sunniti in Siria e a ex
ufficiali sunniti del regime di Saddam Hussein
di
creare lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante, Daesh nell’acronimo arabo,
con lo scopo di fondare un nuovo Stato sunnita a cavallo di Iraq e Siria.
Inizialmente
la cosa non dispiace ai sauditi, perché complica la vita agli iraniani: ma Daesh
diventa cosi potente che Riad, spaventata quanto Teheran, si unisce alla coalizione
internazionale formata per schiacciare l’organizzazione jihadista. Ancora una
volta le linee si spostano, ma si spostano talmente tanto che a Riad una nuova
generazione di giovani principi prende il sopravvento sugli ottuagenari e decide
di salvare la dinastia attaccando contemporaneamente gli iraniani e ijihadisti
di Daesh.
Ed
ecco quindi che l'Arabia Saudita, la scorsa primavera, interviene nello Yemen
per contrastare la penetrazione dell’Iran, e sabato fa giustiziare in un giorno
solo una quarantina di jihadisti e quattro
oppositori
sciiti fra cui un importante esponente religioso.
E
questo che ha provocato la rottura fra i due Paesi, e che minaccia ormai i
fragili processi di pace in Siria e nello Yemen.-
E
questo che potrebbe, parallelamente, ridare Io slancio a Daesh. E una
situazione grave, molto grave, talmente inestricabile che la diplomazia americana,
quella europea e quella rus-
sa
sono ancora li che si chiedono come fare a sbrogliare la matassa: ma in questo
intreccio di diffidenze reciproche e conflitti armati, in questa collisione fra
la storia antica e quella vicina, una certezza c'e.
La
tentazione di dire che non c’e niente da fare, che non resta che lasciare che e sauditi s_i scannino fra loro fino all'ultimo
yemenita e all'ultimo siriano, sarebbe semplicemente suicida. Né la Russia, né
l’America né tantomeno l'Europa possono cedervi, perché se rinunciassero a
intervenire lascerebbero e sauditi
arrivare
fino a uno scontro diretto a cui non vogliono arrivare. Le riserve petrolifere
di questi due Paesi ne uscirebbero distrutte o non utilizzabili. Tutta l’economia
mondiale ne risentirebbe, e mentre i flussi di pro-
fughi
decuplicherebbero e la Turchia verrebbe trascinata nella guerra, Daesh avrebbe
campo libero per espandersi in Africa, reclutare combattenti in Arabia Saudita
e moltiplicare gli attentati in Europa. In un
mondo
che ormai e tutt'uno, il Medio Oriente rappresenta una minaccia planetaria, che
può ancora essere contenuta cercando, malgrado tutto, di arrivare a un compromesso
in Siria. Sauditi e Iraniani lo auspicano
ancora, perché hanno in Daesh un nemico comune, e gli iraniani ormai hanno capito
che sarà impossibile mantenere al potere Bashar al Assad.
Riportare
la pace in Siria è possibile. E una volta raggiunto questo successo si
potrebbero aprire negoziati per arrivare a definire un equilibrio delle forze in
Medio Oriente che passi per la riduzione degli armamenti e il rispetto della
non ingerenza. Non è utopistico. E urgente e vitale, soprattutto per l’Europa.
Traduzione
di Fabio Galimberti
La
Repubblica , 06 gennaio 2016
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