Due
interventi uno di Mariana Mazzucato (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/01/02/pubblico-e-privato-uniti-nella-lotta29.html?ref=search
) e una lettera di Livio de Santoli su LaRepubblica del 2-3 gennaio 2016
pongono il tema dell’intervento pubblico a guidare e stimolare gli investimenti
senza cadere nei due estremi opposti stato si stato no. E’ un tema interessante
alla luce dei molti problemi –non solo ecologici- che ha di fronte l’Italia
dopo che per oltre mezzo secolo l’obiettivo é sempre stata l’occupazione (il
numero degli occupati piuttosto che per che fare cosa) piuttosto che il dare
gli indirizzi al sistema produttivo nazionale per reggere nel confronto
internazionale.
Mariana Mazzucato
PUBBLICO E PRIVATO UNITI NELLA LOTTA
LE
fasi in cui si sostiene il ruolo dello Stato nello sviluppo economico sono
sempre seguite da un attacco contro il suo intervento nel buon funzionamento
dei mercati. È stato così per tutto il XX secolo. Ed è stato così anche dopo la
recentissima crisi finanziaria e recessione economica a livello globale: dopo
un breve periodo, subito dopo lo scoppio della crisi, in cui tutti concordavano
che lo Stato aveva un ruolo chiave da giocare per il salvataggio delle banche e
lo stimolo della crescita attraverso lo stimolo economico, hanno rapidamente
preso il sopravvento quelli che vedevano con allarme l'aumento del debito
pubblico (considerato erroneamente come causa della crisi quando invece ne è
l'effetto, per via dei minori introiti fiscali, dei salvataggi sempre più
onerosi, eccetera). L'austerità è tornata quindi a essere il piatto del giorno,
mentre qualunque misura seria di politica economica e industriale è diventata
tabù.
Quello
di cui la politica non si rende conto è che per tutta la storia del capitalismo
moderno lo Stato ha fatto e continua a fare quello che i mercati semplicemente
non fanno. E senza questo ruolo la crescita rimane al palo. Non sto parlando
dello Stato che si limita a mettere rimedio ai «fallimenti del mercato», ma
dello Stato che crea e dà forma direttamente ai mercati.
Prendiamo
per esempio il sistema finanziario. Un sistema finanziario efficiente e
funzionante deve, in teoria, provvedere i capitali necessari per lo sviluppo
dell'economia, favorendo la crescita economica e l'innalzamento del tenore di
vita. Una delle banche più importanti degli Stati Uniti si chiama Chemical Bank
perché originariamente finanziava il settore chimico (oggi è impensabile che
una banca possa essere focalizzata a tal punto sull'economia reale). Negli
ultimi anni, però, la finanza non ha sostenuto gli investimenti o l'innovazione
nell'economia reale, ma ha finanziato… se stessa. A partire dagli anni
Settanta, le innovazioni nel settore, abbinate alla deregolamentazione, hanno
reso più facile ricavare profitti con investimenti speculativi in attività
finanziarie.
Ma
per garantire i fondi necessari allo sviluppo dell'economia serve una finanza
paziente, impegnata sul lungo termine. Negli Stati Uniti, la rivoluzione
informatica inizialmente fu sostenuta dalla finanza paziente messa a
disposizione da una rete di agenzie pubbliche con approccio strategico e
mission- oriented, come la Darpa all'interno del dipartimento della Difesa, i
National Institutes of Health all'interno del dipartimento della Sanità, la
National Science Foundation, la Nasa e il programma Small Business Innovation
Research (che ha erogato più finanziamenti ad alto rischio nelle fasi iniziali
delle imprese di tutto il settore del venture capital).
E
in tempi più recenti anche la rivoluzione verde è stata ed è finanziata da
agenzie analoghe, come l'Arpa-E all'interno del dipartimento dell'Energia, o da
prestiti garantiti come quelli erogati alla Tesla (per una cifra prossima ai
500 milioni di dollari di fondi pubblici). In alcuni Paesi, come la Germania e
la Cina, questa finanza paziente è garantita dal settore bancario pubblico: la
KfW in Germania e la Banca cinese per lo sviluppo in Cina svolgono un ruolo
guida nella trasformazione in senso ecologico dell'economia del loro Paese (lo
stesso Bill Gates ha dimostrato di esserne consapevole quando ha chiesto ai
Governi di mettersi alla guida della rivoluzione verde, come fecero con la
rivoluzione informatica).
Perfino
in un Paese che nell'immaginario dell'opinione pubblica rappresenta il
liberismo per eccellenza — la Gran Bretagna — fu grazie all'intervento pubblico
che la Rolls-Royce, negli anni Settanta, riuscì a rimettersi in piedi, e più
recentemente è stato il Catapult Centre dedicato al settore automobilistico (i
Catapult Centres sono organizzazioni pubbliche che hanno il compito di
promuovere la ricerca e l'innovazione in vari settori) che hanno consentito
all'industria dell'auto britannica di tornare al centro della scena: oggi nel
Regno Unito si producono più automobili che in Italia.
L'Italia
continua a non disporre di organizzazioni come queste, con un respiro
strategico. I problemi dell'economia sono visti soltanto (sia da Berlusconi in
passato, sia da Renzi oggi) in termini di «impedimenti» (tasse, burocrazia,
eccetera) da rimuovere, invece che in termini di istituzioni da creare per
investire e creare i nuovi mercati del futuro.
Prendiamo
il caso della Cassa depositi e prestiti: finora non ha mai funzionato come una
vera e propria banca pubblica, limitandosi tutt'al più a investire in
infrastrutture e facilitare le aziende private, invece di realizzare
investimenti strategici in innovazioni capaci di creare nuovi mercati, che
sarebbero seguite da investimenti privati.
È
questo che fa la KfW in Germania e la Banca cinese per lo sviluppo in Cina. Non
è ancora chiaro quali sviluppi avrà l'attuale riorganizzazione della Cassa
depositi e prestiti, se sarà solo l'ennesimo cambio di poltrone o se sarà
davvero un cambio di rotta. Quello che è certo è che per l'Italia riveste
un'importanza cruciale. La ricapitalizzazione è importante, e gli ultimi
investimenti sulla banda larga sono uno sviluppo positivo, ma per il XXI secolo
non è abbastanza: bisogna imboccare una direzione nuova.
Quale
direzione? Per il futuro dell'Italia è fondamentale sgombrare il campo dal
dibattito statico «pubblico contro privato». Sono fondamentali entrambi. Il
problema è come promuovere collaborazioni sinergiche che consentano al settore
pubblico, nel confronto con il settore privato, di mantenere un approccio
coraggioso e strategico e stabilire la direzione del cambiamento, invece di
limitarsi ad assorbire i rischi, facilitare, amministrare, sovvenzionare e
incentivare. Che si parli di istruzione, salute, trasporti, cultura, energie
rinnovabili o del futuro della microelettronica, il problema non dev'essere
«aprirsi al mercato» (guardate quanto bene ha fatto a Telecom Italia), ma come
strutturare e modellare il mercato attraverso investimenti pubblici e privati,
che consentano a un settore di diventare più dinamico, innovativo e focalizzato
sugli investimenti.
Invece,
seguendo la tesi che gli investimenti sono cose che spettano al settore privato
e che il settore pubblico esiste solo per regolamentare, sovvenzionare o
salvare capra e cavoli quando le cose vanno male (assorbendo la parte
bad
e lasciando ai privati il godimento della parte good), si finisce dentro una
profezia che si autorealizza, in cui il settore pubblico, proprio perché non
vediamo un effettivo «ruolo» per esso al di là di quanto elencato, si ritrova a
corto non solo di finanziamenti, ma anche di immaginazione.
Quando
un settore manca di immaginazione, muore. Diventa irrilevante, e ovviamente più
facile da attaccare. Nel settore pubblico italiano è in opera un circolo
vizioso che sta contribuendo ad affossarlo. Solo quando la visione diventa
quella di creare insieme un nuovo futuro, invece di lasciare che una parte si
accolli il compito di raccogliere i cocci mentre l'altra continua a realizzare
profitti di corto respiro, potremo sottrarci al consueto «tutto deve cambiare
perché tutto resti come prima».
Mariana Mazzucato
http://marianamazzucato.com/2013/11/11/short-bio/
Traduzione di Fabio Galimberti
Livio de Santoli
GLI ECO-INVESTIMENTI E IL RUOLO
DELLO STATO
Il dibattito aperto su Repubblica con
il commento di Mariana Mazzucato del 2 gennaio trova conferma nella lotta al
cambiamento climatico. Il futuro in campo energetico e ambientale infatti si
basa sulle nuove tecnologie ma anche sulla necessità da parte di “una finanza
paziente" di affrontare investimenti strategici perché e necessario individuare
misure finanziarie innovative, stante il fatto che non vi sono barriere tecnologiche
aIl’implementazione di politiche di efficienza energetica. La realizzazione di grandi
reti energetiche, integrate con quelle delle telecomunicazioni e dei trasporti,
può costituire il rilancio di un Paese che vuole intraprendere la strada del
cambiamento energetico capitalizzando. parallelamente, benefici sia sul piano
della crescita che
dell'0ccupazione. I volumi di
investimenti nel settore energetico nel periodo 2015-2020 in Europa sono compresi
tra 350-530 miliardi di euro, con una quota considerevole per l’Italia ( 55-75
miliardi di euro). Essi hanno bisogno di un approccio basato su un rinnovato
rapporto tra finanza ed economia reale, come l'Europa in definitiva auspice con
il ruolo di agente nazionale di sviluppo a cui sono chiamate le Casse Depositi
e Prestiti nazionali. Le infrastrutture, tra le quali quelle energetiche, rappresentano
per gli Stati l’obiettivo delle nuove politiche macroeconomiche capaci di
integrare il bisogno di nuovi real asset con la necessità da parte degli Stati
di essere protagonisti per lo sviluppo delle competenze di investimenti
finalmente a lungo termine. L’individuazione delle condizioni perché ciò avvenga
prevede il superamento dei modelli astratti dell’e-conomia tradizionale e della
dottrina convenzionale che continua a sostenere un ruolo decisivo all'imprenditoria
privata. In un quadro rinnovato lo Stato e il settore private possono assumere
insieme i rischi della ricerca e della implementazione operativa e beneficiare insieme
dei benefici, in tutte quelle aree strategiche che portano produttività, e
quindi crescita: la formazione del
capitale umano, la ricerca e lo sviluppo.
Livio de
Santoli
http://gomppublic.uniroma1.it/Docenti/Render.aspx?UID=1d3c18f5-a01e-4c8d-9d33-e98a8c660e4b
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