Non
escludo che per l’Ilva si possa prospettare una soluzione con una cordata
italiana». E la prima volta che il ministro dello Sviluppo economico, Federica
Guidi, indica una via d'uscita tricolore per i1 gruppo siderurgico
profondamente in crisi, sostenuto ormai da risorse pubbliche che la Commissione
europea potrebbe presto considerare aiuti di Stato e come tali vietati dalle
regole comunitarie. Una partita complicatissima, dai tanti risvolti,
industriali, finanziari, ambientali, occupazionali ma anche geopolitici. La
prossima settimana -annuncia la Guidi in questa intervista- sarà pubblicato il
bando per la cessione o l’affitto dell'Ilva. Il governo esclude il cosiddetto
“spezzatino”. Quasi certamente nascerà una newco con la possibile partecipazione
in minoranza della Cassa depositi e prestiti, controllata dal ministero dell'Economia.
Entro la fine di giugno la decisione. Si rispolvera la politica industriale: il
10 febbraio — dice il ministro — si terranno a Roma gli Stati generali
dell'industria, “per capire quale modello
industriale
vogliamo per i prossimi vent'anni».
Ministro
sull'Ilva il governo ha compiuto una clamorosa retromarcia: prima il no alla vendita,
quindi una specie di nazionalizzazione, ora di nuovo la vendita ai privati.
Qualé la strategia del governo per un'azienda fondamentale per tutta l’industria
italiana?
“Abbiamo
deciso di accelerare un processo gia avviato, ma non abbiamo mai pensato ad un nazionalizzazione
in senso classico. Siamo dentro una crisi strutturale della siderurgia. L'Europa
sta pagando gli effetti di una sovraccapacità produttiva, la Cina produce e
vende a prezzi stracciati e l’economia globale sta rallentando. Siamo dentro un
buco nero per la side-
rurgia
paragonabile alla situazione del 2009. In questo quadro abbiamo deciso di
accelerare la cessione (o l'affitto) dell’Ilva tanto più che il tribunale svizzero
ha per ora bloccato il rientro di 1 ,2 miliardi dei Riva destinati al
risanamento ambientale dell’impianto di Taranto».
Chi
comprerà l'Ilva in questo contesto? La multinazionale Arcelor Mittal? Una
cordata italiana?
“I
soggetti sono tanti, e ci sono anche gli italiani».
Pensa
a una cordata italiana, come é già accaduto a suo tempo per 1'Alitalia?
“Non
escludo nulla. L'Ilva rimane, nonostante tutto, un'azienda con punte di
eccellenza e di particolare efficienza. Il bando di gara sarà pubblicato i1 4 o
il 5 gennaio, poi arriveranno le manifestazioni di interesse».
Ma
lei ritiene davvero che i gruppi italiani, non tutti solidi dal punto di vista
finanziario, possano rilevare un gigante come l'Ilva?
“Ripeto:
non lo escludo».
Chi
sono gli interessati? Duferco si é
tirato fuori. Marcegaglia, Arvedi, Amenduni hanno le risorse per un’operazione
di questa portata? .
“Non
posso rispondere ma in queste settimane ho incontrato tutti i gruppi, grandi,
piccoli e medi che possono essere coinvolti. Taranto é ancora un sito appetibile
dal punto di vista industriale, ha una posizione logistica impagabile. Deve
concludere il processo di ambientalizzazione, e se ben gestito può continuare a
produrre acciaio di qualità».
Il
governatore della Puglia Michele Emiliano dice che é possibile cambiare l'alimentazione
dal carbone al gas dell'impianto di Taranto con la partecipazione dell'Eni. Lei
co'sa ne pensa?
“Non
ho parlato con Emiliano. Ma non mi pare che 1'Eni sia un’azienda siderurgica e,
per quanto ne sappia io, non credo sia interessata un’operazione di questo
tipo».
A
proposito dell'Eni, cosa pensa il governo, che rimane comunque i1 principale
azionista del gruppo degli idrocarburi, della decisione di cercare un partner
per il settore chimico? Non temete l’uscita dell'Eni dall’industria chimica?
Perché il governo e rimasto finora in silenzio?
“Non
siamo rimasti in silenzio tanto che per il 12 gennaio ho convocato al ministero
un tavolo di confronto. Io credo che la presenza del1'Eni nella chimica si sia
già fortemente ridimensionata. Lo scenario é cambiato.
L'Eni
non ha più le risorse per sostenere gli investimenti nella chimica. Ha bisogno
di un partner industriale». '
Il
governo pensa che ci debba essere qualche vincolo per garantire la presenza
dell'industria della chimica in Italia?
“Deve
essere un soggetto industriale 0 abituato ad operazioni industriali, e non un
fondo speculativo. Deve esserci un piano industriale, garanzie per il futuro
dei siti produttivi e dei livelli occupazionali».
Le
difficoltà delI'Ilva, quelle delI'Eni nella chimica, confermano che in Italia
manca una politica industriale. Il governo si limita a gestire le emergenze.
Perché il governo non si dota di un progetto di politica industriale?
“E
esattamente quello che stiamo per fare: il 10 febbraio si terranno a Roma gli
Stati generali dell’industria. L'abbiamo chiamati “Manifattura Italia”.
Vogliamo
aprire una discussione pubblica sul futuro dell'industria italiana dei prossimi
vent’anni. Se puntiamo a restare il secondo paese industriale
d'Europa
dobbiamo aggiornare il nostro modello, bisogna digitalizzare il processo e i
prodotti e creare nuove filiere produttive tra piccole, medie e grandi aziende».
L’interessante intervista alla ministro dello sviluppo economico sembra piuttosto una velina ministeriale. Dopo 23 mesi di permanenza al ministero sommersa dal caos di Taranto-ILVA la ministra ci viene a dire cose interessanti. Una premessa. L'Ilva di Taranto si estende per 15 milioni di metri quadrati, più del doppio della stessa Taranto, ha 12mila dipendenti diretti, ed è in grado di trasformare oltre 20 milioni di tonnellate di materie prime. Sviluppa al suo interno 190 chilometri di nastri trasportatori, 50 chilometri di strade e 200 chilometri di ferrovia. Ha 8 parchi minerali, 2 cave, 10 batterie per produrre il coke che serve ad alimentare gli altiforni, 5 altiforni, 5 colate continue, 2 treni di laminazione a caldo per nastri, un treno di laminazione a caldo per lamiere, un laminatoio a freddo, 3 linee di zincatura e 3 tubifici.
Con
questo quadro la prima notizia che ci da il ministro Guidi (che non ha mai
percorso l’acciaieria all’interno e nemmeno
sul perimetro, pure in auto) é che l’acciaieria resterà nella città e
sarà “ambientalizzata” . Una doppia follia : -industriale: per i costi e -civile: per il destino degli abitanti di Taranto.
Alzi la mano chi crede che in Italia e nel Meridione sarà davvero possibile “ambientalizzare”
la maggiori acciaieria d’Europa.
Per l’Ilva il documento presentato dal Presidente Emiliano – che
anche in questo caso sposa una linea di riconfigurazione degli impianti con
l’uso del preridotto, ma non mira affatto ad una dismissione del Siderurgico –
punta, con l’impiego del gas, a produrre preridotto di ferro per caricare forni
elettrici, superando così il ciclo integrale e il suo processo produttivo che
parte dalle materie prime ovvero minerali e carbon fossile; si realizzerebbe in
tal modo la trasformazione della produzione di acciaio dal ciclo
“minerale-coke-altoforno” al “ciclo minerale-riduzione diretta-forno
elettrico-rottame”.
In realtà, già Enrico Bondi quando venne nominato Commissario
dell’Ilva, avvalendosi della consulenza del prof. Mapelli del Politecnico di
Milano, aveva puntato sull’uso del preridotto di ferro impiegandolo anche in
altoforno con risultati decisamente promettenti. In ogni caso una produzione
massiccia di preridotto, per rendere economicamente conveniente il suo impiego,
ha bisogno di grandi quantità di gas e a basso costo. Una riconfigurazione
degli impianti inoltre – con il passaggio anche parziale ai forni elettrici –
comporterebbe un costo elevato che andrebbe attentamente valutato, così come un
riduzione di occupazione che però Bondi stimava in non più di 5-600, unità
recuperabili in altri reparti dello stabilimento. L’impatto ambientale sarebbe
molto più contenuto, ma una così complessa riconversione del ciclo di
produzione andrebbe valutata nei suoi costi totali che sarebbero in ogni caso
elevati. Toccherà comunque a coloro che saranno chiamati ad acquistare l’Ilva –
alla luce del bando di vendita di prossima pubblicazione – valutare i costi e i
tempi tecnici di esecuzione e di ammortamento di un investimento che è
sicuramente fattibile sotto il profilo tecnologico.
In quest’ottica Emiliano vedrebbe bene una partecipazione dell’ENI nell’operazione di risanamento e rimessa sul mercato dell’ILVA.
La notizia sta invece nel fatto che dopo 23 mesi di permanenza
al ministero la Guidi non abbia trovato il tempo, la
voglia, l’accortezza, il senso dell’istituzione di consultarsi col presidente
della regione Puglia su un tema di quella
grandezza.
Roba da
licenziarla immediatamente.
Ma la “vera velina” é l’annuncio che tra 40 giorni si
terranno gli stati generali dell’industria italiana che si chiameranno “Manifattura Italia”.
Sperando che nel frattempo si sia ricordata di mandare l’invito ai potenziali
interessati (e che non lo leggano oggi sul giornale…). Poi la sparata: “se puntiamo
a restare il secondo paese industriale d'Europa dobbiamo aggiornare il nostro
modello, bisogna digitalizzare il processo e i prodotti e creare nuove filiere
produttive tra piccole, medie e grandi aziende». Che é il colmo della banale
banalità… dopo 23 mesi di permanenza al ministero dello sviluppo.
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