24 dicembre 2015
dalla Russia con furore:
il bilancio dell’offensiva anti ISIS
Il più
grande contributo della Russia allo sfaldamento dello Stato Islamico è arrivata
in maniera indiretta: l’escalation dell’impegno russo in Medio Oriente ha di
fatto portato alla messa in discussione delle idee fondanti dell’ISIS.
Come un fiume in
piena, la Russia di Vladimir Putin ha riversato consistenti mezzi ed energie
nel teatro mediorientale in cui è tornata attore di primo piano e di influenza
preponderante. Il martellamento continuo delle posizioni dell’ISIS, tanto
consistente da rendere al confronto punture di spillo le incursioni aeree della
coalizione a guida USA, si accompagna con un’azione diplomatica continua,
incisiva e fruttuosa, che ha al tempo stesso evitato possibili escalation nella
contrapposizione allo schieramento occidentale, rivelato l’ambiguità di quanti
al suo interno portavano avanti un palese doppio gioco (in primis il governo
turco), ricucito almeno parzialmente certi strappi con gli USA, con i quali il
governo di Putin ha raggiunto un’intesa di massima sulla road map per la cessazione
delle ostilità in Siria, e affermato la posizione di Mosca come potenza di
riferimento nelle trattative in evoluzione.
Il ruolo giocato
dalla Russia in Medio Oriente è testimoniato dal suo essere al centro degli
interessi di tutte le parti in campo: il legittimo governo siriano ne ha a
lungo invocato il sostegno militare poi accordatogli; sauditi e israeliani
l’hanno blandita essendo desiderosi di trovare, dopo aver sperimentato in prima
persona le ambiguità e le debolezze della politica estera di Washington, un
modus vivendi con Mosca offrendo concessioni rispettivamente in campo
energetico e militare; gli iraniani hanno stretto sempre di più i loro rapporti
col potente alleato, siglando accordi di valore sempre maggiore per forniture
militari e investimenti infrastrutturali, saldando con gli affari un’alleanza
dal grande fondamento politico e ideologico (trattata in uno dei capitoli
conclusivi del saggio “Russia – Rinascita di un impero” scritto col contributo
della redazione esteri de “L’Intellettuale Dissidente”); l’Iraq e i curdi del
Rojava beneficiano di riflesso dell’intervento del Cremlino, che ha concesso
loro ampio respiro costringendo l’ISIS a un’ampia emorragia di mezzi e uomini
da est verso ovest per ripianare le perdite inflitte dagli attacchi aerei e
missilistici russi. A tre mesi dall’intervento richiesto da Assad e accordato
da Putin, è possibile fare un primo bilancio delle azioni portate avanti dalle
rinnovate forze armate russe nello scenario siriano.
Non c’è dubbio che
l’inizio dei raid della VVS (l’aviazione militare di Mosca) e il susseguente
avvio dell’offensiva navale, con l’impiego delle flottiglie del Mar Caspio e
del Mar Nero quali gigantesche batterie missilistiche mobili, abbia segnato una
discontinuità probabilmente decisiva nella guerra multinazionale contro l’ISIS.
Per la prima volta, si sono messe alla luce le reali debolezze militari del
sedicente Califfato, tali da rendere difficile la spiegazione dei suoi
precedenti successi: in primo luogo, esso è assolutamente carente nella difesa
antiaerea, dato che l’unico velivolo perso dalla VVS sinora è stato il Su-24
abbattuto da caccia turchi nell’incidente del 17 novembre e le uniche armi che
ha a disposizione provengono dal saccheggio degli arsenali dell’esercito
iracheno durante la sua rotta nel giugno 2014. L’esercito dello Stato Islamico
non ha neppure alcuna strategia a tal proposito: essendo stato costruito per
tutt’altro tipo di guerra, i suoi reparti disorganizzati in campo aperto
patiscono lo stesso spaventoso tributo di sangue che subirono i Talebani sotto
l’urto dei B-52 nel 2001: a esemplificare l’enormità delle perdite umane tra
miliziani e foreign fighters basta il singolo esempio dei 600 membri dell’ISIS
uccisi da un singolo attacco missilistico lanciato dalla Flottiglia del Mar
Caspio il 20 novembre scorso sulle posizioni del Califfato presso Deir Ex-Zor1.
Seconda grave
debolezza dell’ISIS fatta emergere dall’energica azione russa è la fragilità
del suo controllo sul territorio. Esso si è costituito su un’ampia area più per
debolezze altrui che per reali capacità dei suoi leader in campo politico,
strategico o militare. Nei fatti, buona parte del territorio controllato dal
sedicente Califfato è semplicemente deserto, mentre i gangli vitali del potere
degli uomini di Al Baghdadi si trovano concentrati nei pochi centri urbani
degni di nota, quali ad esempio Raqqa e Ramadi, e nei pozzi di petrolio vitali
per il finanziamento dell’organizzazione. Gli strateghi russi hanno capito sin
da subito questa delicata debolezza del nemico, al contrario degli omologhi
occidentali che continuano tuttora a sferrare inutili incursioni aeree contro
dune e pietraie, martellando in continuazione i centri di comando, i campi
d’addestramento, i depositi di munizioni, le già esigue linee di comunicazione
e, soprattutto, le infrastrutture petrolifere. La sempre maggior coordinazione con
l’esercito di Assad ha portato a una continua erosione del territorio occupato
dall’ISIS, che ora si trova sotto attacco da tre lati, dovendo subire anche la
baldanza dei curdi del Rojava, forti della loro unità interna e della loro
rodata forza armata, e la ripresa dell’esercito iracheno, che proprio in queste
ore ha ingaggiato la battaglia decisiva per la liberazione di Ramadi, occupata
dai miliziani il 17 maggio scorso2.
Entrambi i punti di
debolezza rilevati dalle operazioni a guida moscovita portano allo scoperto due
critiche parallele che si possono muovere riguardo le contemporanee azioni
della coalizione a guida statunitense, più volte sottolineate con chiarezza dal
generale Fabio Mini nei pungenti articoli che scrive per il “Fatto Quotidiano”:
l’esiguità dei raid, sia in termini numerici quanto in termini di aerei
impiegati, e l’incapacità di scegliere obiettivi adatti. Gli attacchi dei
caccia occidentali, nei fatti, si rivelano forieri di danni limitati e non
competono ai danni subiti dall’ISIS in maniera tale da giustificare le roboanti
parole di Hollande e Obama, sempre pronti a dichiararsi eredi di Napoleone ma
nei fatti impossibilitati a dar seguito a tanto grandi dichiarazioni coi fatti.
Ma il più grande
contributo della Russia allo sfaldamento dello Stato Islamico è arrivata in
maniera indiretta: l’escalation dell’impegno russo in Medio Oriente ha di fatto
portato alla messa in discussione delle idee fondanti dell’ISIS. Autodefinitosi
Califfato, rappresentante universale della umma, desideroso di inglobare nei
suoi confini la totalità del Dar el-Islam (la comunità dei credenti), il
prodotto della fervida immaginazione di Abu Bakr Al-Baghdadi e dei suoi
accoliti altro non è nella realtà delle cose se non un assembramento di bande
armate unite dalla fedeltà dei suoi aderenti a una divinità terrena che
promette ben altri privilegi che l’immortalità eterna nel Paradiso delle hari:
il Bottino, per il cui conseguimento l’ISIS ha avuto libertà d’azione nei mesi
in cui è riuscito ad incunearsi nell’anarchia generale venutasi a creare tra la
Siria sconvolta dalla guerra civile e l’Iraq allo sbando dopo il ritiro del
contingente occidentale.
La decisa reazione
del regime di Assad aveva già contribuito a infliggere pesanti danni,
d’immagine ancor prima che materiali, alle armate contrassegnate dalla bandiera
nera, ma negli ultimi tre mesi lo scompiglio creato nelle loro linee dal deciso
supporto russo a Damasco ha, direttamente e indirettamente, gettato nel panico
la leadership di Raqqa. Gli attacchi di Parigi possono essere letti proprio in
questa ottica, come il colpo di coda di un’organizzazione allo stremo in cerca di
pubblicità, desiderosa di tornare a far presa nell’immaginazione collettiva per
poter sperare di attrarre ancora uomini nelle sue file. Per quanto trovino
difficoltà a trovare un’unità d’azione, i nemici dell’ISIS sono in numero tale
da cagionargli danni considerevoli. E l’unità d’intenti tra il suo più strenuo
combattente sul terreno (l’esercito di Assad) e il più deciso supporter
internazionale (la Russia) ha avuto l’effetto di colpire al cuore il sedicente
Califfato.
Allo stato attuale delle cose, l’impalcatura
pericolante dell’ISIS potrebbe venir travolta da un momento all’altro; la vera
partita per la pacificazione della Siria si gioca nei tavoli diplomatici che
cercano di trovare un’intesa tra le posizioni di Assad e quelle
dell’opposizione; nei fatti, sembra quasi che i due contendenti tengano in vita
lo Stato
Islamico per rimandare l’ora del confronto decisivo. Come l’offensiva
irachena in corso ha dimostrato, oggigiorno le parti in campo hanno le
potenzialità materiali per travolgere definitivamente l’ISIS. E a questa
situazione ha dato un contributo decisivo l’azione della Russia, che continua
imperterrita a condurla, forte del generale consenso che Putin ha compattato a
livello politico nei confronti dell’intervento. L’orso affonda sempre di più, i
tagliagole sono nel caos. Nella speranza che la pace arrivi al più presto per
una terra martoriata, c’è da sperare che la sconfitta di ISIS possa favorire la
definitiva cessazione delle ostilità in Siria e il ritorno alla normalità di
una nazione che, negli ultimi anni, di “normale” ha visto solo la violenza.
Andrea Muratore, 24
dicembre 2015 –
http://www.lintellettualedissidente.it/
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